venerdì 5 ottobre 2018

Firenze


"Firenze lo sai, non è servita a cambiarla..."
Quando si dice Firenze nelle nostre orecchie echeggia la voce di Ivan Graziani con la sua Canzone Triste: 
 "...la cosa che ha amato di più è stata l'aria"
Cosa ci fosse all'epoca nell'aria di Firenze possiamo facilmente immaginarlo; ora c'è solo il rumore di fondo prodotto dalle migliaia di turisti che si incrociano anche in un giorno qualsiasi di un ottobre qualunque, vociando, schiamazzando, occupando tutti gli spazi possibili del centro della città.



Anche il cielo si impegna a creare difficoltà e qualche goccia di pioggia la prendiamo, ma la grandiosità di queste architetture è più che sufficiente a superare il disagio: turisti o meno - che poi anche noi lo siamo - pioggia o sereno, questa è la città dove hanno vissuto e operato i più grandi artisti, architetti, mecenate del Rinascimento e noi siamo decisi a godercela.


Ne siamo affascinati, sbalorditi: attraversiamo le strade a naso in su - a rischio della vita - come se vedessimo questo splendore per la prima volta! Proviamo ad immaginare l'effetto che tutto ciò doveva produrre nel viaggiatore che capitava da queste parti secoli fa... ma non ci facciamo distrarre al punto da dimenticare che questa è anche la città del buon cibo toscano: ci dirigiamo verso il mercato di San Lorenzo, dove sappiamo di poter mangiare bene e rapidamente da Zà Zà.


Qui ci sarebbe un'altra canzone da ricordare, la famosa Dove sta Zà Zà cantata da Nino Taranto, ma il nome di questa ex trattoria - ora ristorante rinomato e sterminato, da centinaia di coperti - è da attribuire invece alla rapidità con cui i clienti venivano e vengono ancor oggi serviti: in pochi minuti, zà zà!


E infatti in pochissimi minuti il nostro tavolo si riempie di ogni ben di dio: diciamo la verità, anche questo ci affascina moltissimo!
Dopo pranzo ci trasciniamo lungamente per strade e ponti, negozi e botteghe, caffè e gelaterie, alla ricerca di un tassello in più da aggiungere alla nostra "conoscenza" di Firenze.
Perdiamo subito il conto delle torri, ormai inglobate negli edifici circostanti, edificate quando le famiglie facevano a gara a chi ce l'aveva più alta: questa qui a sinistra apparteneva ai Buondelmonti che nell'XI secolo avevano pensato bene di essere così ricordati negli anni a venire.
Perdiamo anche il senso dell'orientamento e solo grazie ad una piantina recuperata per strada ci rendiamo conto se stiamo andando di qua o di là.
Eppure, come in tutte le città attraversate da un fiume, non dovrebbe essere poi tanto difficile: basta trovarlo. E quando ci riusciamo non possiamo evitare uno dei più classici selfie, con alle spalle Ponte Vecchio.



Per qualche istante, concentrati su questo scorcio d'Arno, ci sembra di tornare indietro nel tempo: questa vista non doveva essere tanto diversa ai tempi dei Medici, e Lorenzo sarà passato molte volte sul Ponte della Trinità, vedendo ciò che noi vediamo ora, più di 500 anni dopo.


Il presente è fatto di giapponesi selfeggianti, americani abbondanti, tedeschi sandalosi, spagnoli rumorosi, inglesi no europei, russi epicurei, francesi presuntuosi, svedesi calorosi: un mare di umani che si incrocia senza vedersi, che è qui solo per dire di esserci stato, che mangia, cammina, siede sulle stesse pietre dove mangiò Leonardo, camminò Dante, sedè Boccaccio .


Scattando foto in giro riusciamo spesso a scoprire particolari curiosi, punti di vista insoliti, che magari tutti hanno sotto gli occhi senza vedere, che si vedono ora ma che domani chissà, come questo "paesaggio" che ti mostriamo qui sotto: è la maniglia di un negozio, in pietra paesina. Un paesaggio immaginario, che esiste solo in questa  pietra e che si potrà vedere solo per poco ancora: questo negozio, sul Lungarno degli Acciaiuoli, sta per chiudere per sempre...




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