sabato 23 settembre 2017

Amatrice e Cittareale


Capita di fare pensieri fuori dall'ordinario: "Andiamo a pranzo ad Amatrice" ci siamo detti stamane. In sé un'ottima idea: portiamo il nostro piccolo, minuscolo contributo all'economia locale, una goccia, ma tante gocce insieme fanno il mare. E può essere l'occasione per una buona amatriciana: di sicuro è il posto giusto per gustarla. Ma le buone idee possono aver risvolti inaspettati.
Il problema - se così si può dire - è proprio il gran numero di persone desiderose di contribuire all'economia del luogo che si affollano stamattina attorno a quel che resta della città: sono arrivati qui con i pullman, con le auto, a piedi e in bicicletta, con le scarpe da trekking o con i decoltè, in giacca a vento o in giacca e cravatta, con lo zaino o con la borsetta elegante, a centinaia e centinaia. Sono veramente tanti, tantissimi, troppi: è difficile persino camminare. Certo, fa un gran piacere: a quanto pare nessuno si è dimenticato di Amatrice. Anzi, sembra che tutta Roma sia venuta in processione quassù: "Aho, che botto che c'è stato!" "Anvedi il campanile è ancora in piedi!" "Scusi, sa dov'è l'area food?"
Un'atmosfera stralunata, a metà fra la fiera paesana e il turismo macabro. Mi dirai che l'importante è che la gente sia qui, che vada nei ristoranti, nei pochi negozi che hanno riaperto, che non lasci soli i coraggiosi che non sono andati via... Sì, indubbiamente, ma forse immaginavamo qualcosa di diverso: siamo noi ad essere fuori posto, anche se il posto dove volevamo essere è proprio questo.



E poi se sono tutti qui, magari nei dintorni non c'è un anima. Il terremoto non ha colpito solo questo paese: se vogliamo essere minimamente utili, andiamo lì dove anche solo due persone in più fanno numero.
Ci spostiamo di pochi chilometri e raggiungiamo Cittareale: un borgo minuscolo, protetto da un'enorme rocca. Qui le cose sembrano essere andate meglio: niente grossi sfracelli, pochi segni del disastro che ha raso al suolo il paese vicino. Ma qualcosa è nell'aria, lo vediamo dai volti tesi, dagli insoliti frequentatori del ristorante dove ci accomodiamo: molti sono operai del nord, di qualche ditta che sta lavorando in zona a risistemare le cose.



Il gestore dell'agriturismo Lu Ceppe non ha difficoltà a confidarsi: "A noi è andata bene, ma qui intorno non c'è più nessuno! Ci sono famiglie dimezzate! Ci stiamo riprendendo, ma è dura, molto dura..."


La vista è speciale e ci induce pace, quiete e fiducia: le nuvole si vanno diradando e il futuro, almeno da qui, sembra volgere al sereno.

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